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Joško Sirk e il suo Aceto » L’Aceto di Uva di Joško Sirk

L’Aceto di Uva di Joško Sirk

IL PERCHE DI QUESTO BLOG

Che l’ orso Sirk si faccia fare un blog e lui! si metta a scriverci sopra è certamente cosa insolita.
A quelli che si chiedono cosa stia succedendo, chiarisco;
Sirk è alla ricerca di fan dell’ Aceto, di guerrieri, di amici, di menti disposte a spendersi per riabilitare, riqualificare, valorizzare, l’ Aceto! l’ Aceto agro di vino.

 

ACUNI PALETTI PER DELIMITARE IL CAMPO

Quando parlo di Aceto parlo di Aceto agro di vino, quello che mai mancava nelle vecchie famiglie contadine.

L’ Aceto balsamico classico è una splendida specialità alimentare del modenese e di Reggio che io apprezzo, stimo ed ammiro ma che nulla ha a che fare con l’ Aceto di cui io parlo.

Aceto di vino da vino intero!

È prassi enologica, espressamente prevista dalla legge, diluire il vino da acidificare nella misura congrua ad ottenere Aceto del desiderato grado acetico.

L’ Aceto di cui parlo io è aceto da vino intero! il cui grado di acidità sarà quello voluto dal Padreterno.

Da fermentazione spontanea

Fin dal medio evo per fare l’ Aceto si usavano gli acidificatori, dei tini con in mezzo un diaframma sul quale venivano posti trucioli o tralci intrisi di aceto madre attraverso i quali scorreva il vino da inacidire; cosa che avveniva in una quindicina di giorni. Oggi questi acidificatori sono in inox in essi si controlla la temperatura, l’ ossigeno e sono in grado di trasformare il vino in Aceto in tre giorni. L’ industria con i suoi distillatori acetici lo fa in qualche ora.

L’ aceto di cui parlo io viene lasciato inacidire spontaneamente e per riuscirci ha bisogno di almeno due estati!

In proposito va doverosamente citato l’ atto, proposto dalla nostra Regione e recepito dal ministero delle politiche agricole che con decreto del 5 giugno 2009 inserisce nell’ elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali con il nome OSIET l’ Aceto ottenuto dall’ acidificazione spontanea di vini da vitigni autoctoni a bacca bianca delle zone di produzione del Collio e dei Colli Orientali del Friuli.

Per quanto sopra, all’ istituzione e ai suoi funzionari va il mio plauso e il mio ringraziamento.

DA UN SOTTOPRODOTTO UN SOTTOPRODOTTO

Il fatto che la quasi totalità dell’ Aceto si produca da vini nel migliore dei casi non più destinabili alla mescita è certamente una delle ragioni più importanti per cui questo prodotto sia cosi snobbato.

D’altronde è in qualche modo logico pensare che l’ Aceto così prodotto venga allo stesso tempo interpretato e usato per condire l’ insalata o per pulire il frigo o per decalcificare il ferro da stiro o per igienizzare la casa, direi di più, giusto preferire per tutto ciò e altro un prodotto naturale come pur sempre l’ aceto è, che chemicaglie varie.

Quindi la prima cosa da fare, riferito sopratutto a noi produttori, è pensare e destinare a un Aceto di qualità una materia prima di qualità; uva o vino che esso sia.

 

DA UN GRANDE VINO UN GRANDE ACETO

Ne ero assolutamente convinto, ho lavorato, insistito, per dimostrarlo, per veramente molti anni.

In realtà avevo capito abbastanza presto che un grande vino da enologo, specie se bianco, sarebbe stato difficile arrivare a farlo inacidire in maniera spontanea. Considerato il raffinato sapere e l’ alta tecnologia usata per produrlo, le protezioni per prepararlo alla mescita, pretendere che la fermentazione acetica avvenga cosi, semplicemente da sola, era troppo. Cosi nella cantina di vinificazione dei miei nipoti, ho prodotto per anni un vino semplice e ingenuo; una vendemmia di uve sane e mature, una fermentazione molto lunga sulle bucce, poi in botte sulle sue fecce nobili fino ai primi caldi di primavera, niente solforosa, niente filtrazioni, niente.

In primavera lo portavo in acetaia e inoculando il mio Aceto madre favorivo la fermentazione acetica. Non bastava un estate, ce ne volevano due e comunque era molto difficile far svolgere tutto l’ alcool. Il risultato era buono ma non sufficiente a soddisfare il mio orgoglio, l’ orgoglio di fare un prodotto di grande qualità che si distinguesse dagli altri.

A un certo punto mi son arreso, ho ammesso a me stesso che per fare un gran aceto non basta un gran vino.

L’ ACETO DI VINO DA UVA INTERA

Dalla delusione di non riuscire a fare un gran aceto da un gran vino, o forse dalla mia testardaggine, non mi venne mai meno la forza di cercare nuove vie. La svolta, l’ idea, un giorno a caccia; sedevamo con il mio amico guardiacaccia Francl nella garitta della governa e per imbrogliare il tempo, a lui uomo dei boschi che mai aveva visto una qualsivoglia cantina, raccontai la mia storia sull’ aceto.

Mi ascoltò senza commentare. La mattina seguente arrivo con una bottiglia di plastica verdognola da litro e mezzo e me la diede dicendo, questo è il mio aceto, provalo. Risi, ma un amico non si snobba, aprii il tappo a vite e lo provai all’ istante; rimasi di stucco, era il più buon aceto di mele che mai abbia provato! Francl era un amico, ci conoscevamo molto bene, era un uomo buono, furbo per natura cosa che lo rendeva grande cacciatore, ma inaffidabile, disordinato fino alla trasandatezza. Come aveva potuto fare lui quell’ Aceto cosi buono dai gusti cosi puliti era cosa da non credere. Non rinunciai alla cacciata ma appena questa fini mi feci portare a vedere dove e come aveva fatto quell’ Aceto.

Eravamo alla fine di settembre e in un bidone dove l’ autunno precedente aveva messo delle mele tagliate grossolanamente, con tute le mele ancora dentro c’ era quel fantastico aceto!

Non persi tempo, corsi a casa, in giro c’ era ancora dell’ uva, la presi la diraspai in un piccolo tino e feci il mio primo Aceto di vino da uva intera.

IL CONCETTO DI QUALITA’

Come per un grande vino:- bouquet, struttura, persistenza, mineralità !

Pensate di godervi bicchierate di un fresco merlottino, in estate con dell’ anguilla ai ferri, “ cos ti vol di più dalla vita “

Certo nessuno si permetterà di confrontare il simpatico ma esile vinello con un bel Barolo, un Brunello.

La qualità sensoriale di un grande aceto sta nel suo bouquet nella sua struttura che trova conferma nella sua persistente aromaticità, nella sua mineralità, che la bocca percepisce come sapidità.

LO SPRUZZINO

Se in dispensa avete del pepe in grani ma vi manca il macinapepe, finirete per usarlo due volte l’ anno. Se avete il pepe nel macinapepe, gia in cucina lo userete certamente piu volte alla settimana, in tavola poi, a discrezione del singolo commensale, finirà usato quasi ogni giorno.

Bene, qualcosa del genere succede con l’ Aceto. Se lo teniamo in una bella bottiglia da tre quarti chiuso nell’ armadietto, lo useremo certamente solo per condire la terrina dell’ insalata.

Se in lo teniamo a tavola in uno spruzzino, ecco che le cose cambiano. Ogni singolo commensale potrà prima provare poi appassionarsi ad usarlo su molte pietanze, dovunque ci sia uovo, dovunque c’è grasso, sulla frutta rossa, e in tante altre occasioni che troverete illustrate in questo blog o nel sito sotto il titolo “ricette”

In proposito va chiarito che lo spruzzino nell’ erogare valorizza molto l’ aromaticità dell Aceto ma ne eroga una quantità molto modesta. Non pensate di condire una bella terrina di radicchi canarino la Rosa di Gorizia, o un boreto alla graesana, o una terrina di fagioli di Lamon con lo spruzzino, qui bisogna versarlo, l’ Aceto. Come va chiarito che il mio aceto è prodotto senza aggiunte di solforosa e senza alcun conservante o antiossidante e non viene filtrato; se rimane nello spruzzino mezzo vuoto per più settimane

Comincia ad svampire a perdere freschezza, aromaticità.

IL TEMPO

. . . gli è amico !

La lunga fermentazione sulle bucce oltre a struttura e mineralità, apporta al mio Aceto molti tannini, lignina, gusti forti di vegetale. Quindi un periodo di un paio di anni di affinamento in barrique di rovere è doveroso. Anche in bottiglia, nella quale ci va senza filtrazioni, aggiunte di solfiti o altri conservanti o antiossidanti, il mio Aceto continua il suo affinamento, si amalgama evolve nei profumi, lui prepotente si ingentilisce.

Le cose cambiano dopo che abbiam aperto la bottiglia o peggio lo spruzzino e magari ne abbiam consumato la metà. Nessun problema se cosi rimane qualche settimana mo poi comincia a svampire a perdere freschezza, aromaticità.

Il problema potrebbe essere evitato proprio con la filtrazione e l’ aggiunta di solforosa che per adesso non intendo fare.

In questa parte del mio blog, ho deciso di rendere partecipe chi mi vorrà leggere, chi per questo ha curiosità, dell’ intero processo produttivo del mio Aceto del mio Aceto di vino da uva intera.


LA VENDEMMIA    23 – 24 settembre 2010

Tutto comincia con la vendemmia, non di un uva qualunque!

Uso uva di bacca bianca perchè ha meno tannini, mi darà un prodotto più vellutato.

Uso uva da vitigno autoctono per coerenza, per “ amore” del Collio, la mia terra, ma anche perché ha meno zuccheri, quindi meno alcool che potrò trasformare per intero in acido acetico.

Perchè ha la buccia grossa, peculiarità molto utile per protrarre la presenza di queste nei tini fino all’ autunno successivo quando la fermentazione acetica sarà conclusa.

Sana! e molto matura da vigne gestite con attenzione dove si è evitato l’ uso di concimi chimici e dove sono banditi anticrittogamici sistemici.

Quest’ uva arriva in acetaia e diraspata finisce in piccoli tini dove dopo poche ore i lieviti cominciano la fermentazione alcolica.

 

I MOSCERINI

A me ragazzo alcuni vecchi dicevano ” dove ze campane ze anche putane”

Io vi dico che dove c’ è mosto ci son anche i moscerini, e tanti. Questi accompagneranno tutto il ciclo produttivo, di loro avrà ragione solo l’ inverno!

La loro presenza è una ragione in piu per curare al massimo l’ igiene delle pratiche e la pulizia. Le garze di lino che coprono tutti i tini e le chiusure delle botti servbono a questo.

 

LA FOLATURA

Io per folare intendo il  spingere verso il fondo, con un bastone alla cui sommità avrem inchiodato una tavoletta, le vinacce che per effetto della fermentazione, stanno a galla. Con ciò si provoca un rimescolamento, in cantinesco, “bagnare il cappello”

Quando si decide di macerare il mosto con le bucce, vuoi per ottenere dei vini di grande struttura, vuoi per praticare vinificazioni naturali, la folatura è la pratica più inpegnativa e piu importante.

Si tratta di tenere costantemente bagnate le vinacce cosi’ da favorire le cessioni di queste al mosto ed evitare che le parti esposte all’ aria si ossidino o peggio prendano spunto o muffa.

Durante la fermentazione turbolenta, i primi dieci giorni, la follatura va fatta tre volte al di’.

Poi si potrà ridurre un po ma fino a che il ” cappello” di vinacce non cadrà sul fondo bisognerà stare molto attenti. Dopo basteranno una o due foalture per settimana. In questo caso il rimescolare il prodotto è molto importante per evitare che le fecce depositatesi sul fondo no stratifichino e tra uno strato e l’ altro non avvengano fermentazioni anomale.


L’ INNOCULO

Dopo nove – dieci giorni gli zuccheri si son trasformati in alcool, e qui permettetemi una fantastica considerazione; in acetaia nel bel mezzo di tante botti di aceto, in tini intrisi di aceto degli anni precedenti, il nuovo vino risulta sano! Con valori di acidità volatile nella norma. Ovviamente ciò dura qualche ora, perché come viene a mancare l’ ambiente intriso di anidride carbonica prodotta dai lieviti cosi si svegliano i batteri acetici e tutto cambia.

Per gestire quest’ evoluzione sto molto attento e in quel preciso momento faccio inoculare il mio aceto madre che darà l’ imprimatur al futuro aceto.

CADUTA DEL CAPPELLO

. . . gli zuccheri si son trasformati in alcool, i lieviti non hanno piu da mangiare, muoiono e precipitano dando origine alla feccia, vien meno la spinta dell’ anidride carbonica che producevano e che sorreggeva il cappello. Il cappello, null’ alktro che una buona parte delle vinacce he  stava a galla sul mosto ormai vino, cade.

Adesso si possono ridurre le folature, ne bastano due la settimana.

L’AUTUNNO VOLGE ALL’INVERNO

L’ innoculo di aceto madre ha comunque sortito il suo effetto, il mosto vino al naso e al palato da sentori di acescenza. Le analisi dicono che siamo a 1.3 gradi di acidità, la qualità dei profumi indica che abbiam evitato fermentazioni acetiche anomale, la colonia di batteri acetici inoculata ha preso il soppravvento, la situazione è sotto controllo.

La temperatura in acetaia ormai non va oltre i 17 gradi la fermentazione acetica è di fatto ferma. In attesa della primavera, si va in letargo.

I VINACCIOLI

Caduto il cappello, nella sua parte superiore il vino è limpido, di un bel giallo oro carico, denso, invitante.

Restano a galla una parte di vinaccioli che io preferisco eliminare raccogliendoli con un passino per evitare che su di loro si attivino muffe; cologne di microscopici funghi.

 

I PRIMI FREDDI

Si fan sentire i primi freddi. Limito ad una la settimana le folature, facendo attenzione a presenze di muffe sui bordi dei tini tra il liquido e il legno.Tali presenze vanno prevenute, se compaiono vanno eliminate con cura prendendone nota perche questi legni andranno lavati e igenizzati con attenzione; se il problema si ripropone andranno eliminati.

 

…È SCOPPIATA LA PRIMAVERA

La fermentazione acetica, con i primi caldi, è ripartita, quasi turbolenta.

Folliamo due volte la settimana. Stiamo sempre attenti a togliere con il passino vinaccioli o impurità che stanno a galla; sono l’ ancora per fiorette e muffe sempre da eliminare.

 

L’ACETO DELL’ANNO 2010

Un’annata con poco sole ci ha dato un aceto con un acidità più contenuta ( meno alcool, meno acidità)  più leggero. Non per questo meno aromatico.

La sua persistenza e la sua mineralità sono intatte!

 

 

PREPARIAMO PER L’IMBOTTIGLIAMENTO

Ultimo quarto della luna di Pasqua. Il momento ideale per imbottigliare.

Quest’ anno imbottigliamo l’ aceto di uva della vendemmia 2008. Dopo aver assemblato in un recipiente piu capiente le varie barrique, qui favoriamo la decantazione. Da qui, quest’ anno nei giorni 28 29 30 di aprile, dopo il travaso e l’ eliminazione delle morchie, imbottigliamo. Le bottiglie vengono messe corricate in cestoni a disposizione per il confezionamento.

 

E’ ESTATE!

Belle giornate di sole poratno la temperatura esterna a 26 – 28 gradi, in acetaia 22 – 23. Il risveglio dei batteri acetici è evidente, il profumo di aceto si fonde con quello delle rose del giardino. I tini aumentano sensibilmente di temperatura, l’ acidità sale anche di due punti percentuali al mese.

L’ETICHETTATURA

Michele è l’ unico che, pur perdendo ogni volta molto tempo, riesce a mettere a punto la ” semplicissima ” etichettatrice. Dopodichè rimane da esplicare solo manualità.

In etichetta posso scrivere con orgoglio  ” non contiene solfiti aggiunti ”

 

 

E’ AGOSTO

Ѐ agosto e stiamo seguendo le ultime fasi dell’acetificazione.

All’assaggio e aceto!

Le analisi danno ancora presenza di alcool, aspettiamo ancora una luna.

 

LA TORCHIATURA

 

Dal 25 al 27 agosto sono i giorni giusti per la torchiatura e il travaso. La luna e all’ultimo quarto.

In acetaia fervono i preparativi.

 

 

L’ACETOBACTER A LAVORO

Solo in alcuni momenti della lunga fermentazione acetica, si creano le condizioni ideali per poter vedere sulla superficie del vino le colonie di batteri acetici, gli acetobacter appunto, al lavoro.

Una leggerissima ragnatela di fondo con catenelle di batteri in azione.

 

 

I MOSCERINI SE NE SON ANDATI

 

Il freddo li ha fatti morire. Ricompariranno come sempre durante la prossima vendemmia.



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